sabato 22 gennaio 2022

La Degustazione di Parigi del 1976


Un bellissimo articolo di Tina Caputo tratto dal sito: visitcalifornia.com sull'affascinante storia della degustazione al buio nel 1976 che cambiò per sempre il mondo della viticoltura.

Tendiamo a dare per scontato che la California produca vini di prim’ordine, nonostante i più importanti critici del mondo li includano tra i migliori vini mondiali, accanto il bordeaux, il borgogna e tanti altri. Tuttavia, questa situazione, oggi per noi così familiare, era molto diversa da quella che imperversava negli anni ’70. A quel tempo, infatti, persino la Napa Valley era trattata come un luogo di produzione di second’ordine dagli appassionati di vino—non è che fosse, quindi, considerata un granché.

Ma tutto cambiò il 7 giugno del 1976, quando il Time magazine pubblicò un articolo di quattro paragrafi che sarebbe diventato uno dei più importanti testi dedicati al vino statunitense mai scritto. Nascosto a pagina 58 della sezione Lifestyle della rivista, descriveva i risultati di una degustazione al buio organizzata a Parigi dal commerciante di vini inglese Steven Spurrier e dalla sua collega americana Patricia Gallagher.

I vini californiani avevano battuto quelli francesi sia per quanto riguarda i rossi, sia per quanto riguarda i bianchi, distruggendo la convinzione che solo in Francia si potessero produrre vini pregiatissimi.

I vini californiani avevano battuto quelli francesi sia per quanto riguarda i rossi, sia per quanto riguarda i bianchi, distruggendo la convinzione che solo in Francia si potessero produrre vini pregiatissimi.

Tale evento aveva fatto incontrare un gruppo di stimati giudici francesi per mettere a confronto i migliori vini francesi e californiani. I vini prodotti nel Golden State erano praticamente sconosciuti in Francia, solo poche caraffe ne venivano vendute a Parigi e nessuno avrebbe mai sperato in una loro vittoria.

Se non si fosse trattato di una giornata tranquilla dal punto di vista del flusso di notizie, il 24 maggio del 1976, ossia il giorno in cui questa manifestazione si tenne, il mondo non avrebbe mai saputo dell’ora famosa “Degustazione di Parigi”, riguardo alla quale tutti sono concordi ad affermare che si sia trattato di una svolta nella storia vinicola della California.

“Steven invitò tutti rappresentanti della stampa americana, britannica e francese a partecipare e tutti diedero forfait, me compreso,” racconta George M. Taber, che a quell’epoca lavorava come giornalista a Parigi. Tuttavia, poco dopo, ricevette una chiamata dalla Gallagher, che lo implorava di ripensarci.

“La degustazione era di un lunedì, e cioè il giorno più piatto della settimana,” dice Taber. “Per cui decisi di andare.” Fu l’unico giornalista a presentarsi.

Ma poi accadde qualcosa di incedibile: i giudici francesi non riuscirono a distinguere i vini francesi da quelli californiani, dando i punteggi più alti a due millesimati della Napa Valley: uno Chardonnay Chateau Montelena del 1973 e un Cabernet Sauvignon Stag’s Leap Wine Cellars, sempre del ‘73. Tra lo stupore generale, i vini californiani batterono i francesi sia nella categoria dei rossi, che in quella dei bianchi.


Questo fatto non solo lasciò di stucco i degustatori, ma diede il via a una rivoluzione che cambiò la percezione del mondo del vino riguardo alla qualità e al potenziale dei vini californiani e ispirò i produttori di vini di tutti il mondo a sfidare i preconcetti ritenuti tradizionali fino a quel momento.

Eppure, ci volle un po’ prima che la notizia si diffondesse. Warren Winiarski, produttore del vincitore Cabernet Stag’s Leap, non si emozionò più di tanto quando sentì la notizia per la prima volta. “Ricordo vagamente che doveva esserci stato un qualche tipo di degustazione per presentare i nostri lavori della Napa Valley,” racconta, “ma non sapevo chi fossero i sommelier, né che ci sarebbero stati anche vini francesi”.

Quando venne a sapere che il suo vino si era piazzato al primo posto tra i rossi, la sua reazione fu entusiasta. “Dissi, ‘Beh, sono contento,’ perché è sempre bello vincere una degustazione quando stai lanciando un nuovo marchio”.

Dopo che l’articolo di Taber venne pubblicato, tuttavia, e la notizia del trionfo della California si diffuse, tutto cambiò. In particolare, le richieste del vino vincitore aumentarono.

“La portata delle mie aspirazioni si elevò,” dice Winiarski. “Avevo realizzato il vino migliore che potevo, ma ora dovevo pensare a tutto in modo da ottenere il miglior vino possibile, visto che ora c’era una speranza di far conoscere i vini della mia terra.” 

“La portata delle mie aspirazioni si elevò,” dice Winiarski. “Avevo realizzato il vino migliore che potevo, ma ora dovevo pensare a tutto in modo da ottenere il miglior vino possibile, visto che ora c’era una speranza di far conoscere i vini della mia terra.” 


 Di sicuro, la Degustazione di Parigi  ha anche influenzato i viticoltori originari di terre anche più lontane della Napa Valley. “Ha incoraggiato ed ispirato i professionisti del settore che, fino a quel momento, pensavano di non poter sperare di raggiungere gli stessi livelli di quelli che, all’epoca, erano considerati i massimi produttori di vini del mondo,” dice Winiarski. “Ha fatto sì che provassero nuove responsabilità verso i loro prodotti, che adesso, ai loro occhi, aveva il giusto potenziale per raggiungere nuove vette nel panorama vinicolo mondiale, che tempo addietro nessuno avrebbe mai potuto immaginare.”

È stato solo 20 anni dopo la degustazione, mentre cercava un libro riguardo a questo argomento, che Taber riuscì a comprendere a pieno la portata dell’impatto che quell’evento aveva avuto.

“Girai il mondo per andare a parlare con i viticoltori,” ricorda, “e per chiedere loro, ‘Cosa sapete della degustazione di Parigi? Che tipo di impatto ha avuto su di voi?’ E ovunque andassi, fosse stato in Australia o in Nuova Zelanda, la risposta era sempre la stessa: “Ah sì, è stato un evento importante perché ci ha ispirati a pensare che se i californiani ce l’avevano fatta, potevamo farcela anche noi nel nostro paese”. È stato allora che mi sono reso conto che non si era trattato di una svolta solo per la Napa Valley, ma per il mondo intero” conclude Taber.

“Quarant’anni dopo si parla ancora della Degustazione di Parigi”, aggiunge Winiarski. “E se ne continuerà a parlare.”

Sia lo Stag’s Leap Wine Cellars che lo Chateau Montelena, situati rispettivamente a Napa e a Calistoga, sono ancora considerati due dei migliori produttori di vini mondiali. Lo Stag’s Leap, lungo il Silverado Trail, è stato istituito negli anni ’70 e offre bellissime viste sui vigneti circostanti; unitevi all’Estate Wine Tasting and Cave Tour per assaggiare il famoso Cabernet Sauvignon dell’azienda e, nel frattempo, esplorate la cantina sotterranea. Presso lo Chateau Montelena è possibile fare degustazioni direttamente dalla botte, giri guidati attorno al vigneto e un tour di 90 minuti dell’dell’azienda che include una degustazione del loro storico Chardonnay. 

martedì 4 gennaio 2022

La Storia del Vino

 


Ecco un breve ed interessante riassunto sulla Storia del Vino, dalle origini della vite fino all'Enologia moderna, un articolo tratto dal sito: www.quattrocalici.it  di Marcello Leder, buona lettura!!!

L’origine della vite.

Si dice che la vite compaia per la prima volta oltre 200 milioni di anni fa in varie zone del pianeta. I fossili più antichi del genere delle “Ampelidee” sono infatti stati ritrovati nel Caucaso ed hanno una datazione compatibile con questa teoria. In ogni caso, vari fossili testimoniano la presenza della vite nelle zone europee dov’è attualmente coltivata da almeno un milione di anni.

Circa 5.000 anni fa, nell’era conosciuta come Neolitico l’uomo diviene stanziale ed inizia a lavorare il terreno e a selezionare le varie specie atte alla coltivazione, tra cui la Vitis Vinifera Silvestris.

Tracce di coltivazione della vite e di anfore contenenti bevande che si suppone derivino da succhi d’uva e risalenti a varie epoche comprese tra il 5000 ed il 1000 a.C. sono state recentemente scoperte in vari siti, soprattutto in regioni dell’Asia minore (CaucasoMesopotamia), dove sembra nasca anche la vinificazione, databile al 4100 a.C. La Vitis Vinifera Sativa, ossia la forma addomesticata della Silvestris è comunque presente in quest’epoca in tutti i territori che si affacciano sul Mediterraneo.

Furono i Fenici a portare la vite e il vino in Grecia. Successivamente gli antichi Greci colonizzarono l’Italia meridionale (Magna Grecia), facendo arrivare la coltivazione della vite nella Penisola. La vitivinicoltura venne poi ripresa prima dagli Etruschi, poi dagli antichi Romani.

L’origine del vino

L’origine del Vino come bevanda deriva sicuramente dalla fermentazione spontanea dei succhi d’uva, in seguito elaborati e codificati in procedure che si sono affinate di generazione in generazione, col contributo di tutti i popoli che hanno abitato le aree idonee alla coltivazione della Vite, tra cui Greci, Etruschi e Romani. Ricordiamo che sia nella mitologia Greca che in quella Romana esistono Dei protettori delle Viti e del Vino (Dionisio nel caso dei Greci, Bacco per i Romani) e le proprietà inebrianti di questa bevanda hanno portato ad un culto che prevedeva celebrazioni (Baccanali) che a volte degeneravano in vere e proprie orge.

Il vino nell’epoca Romana

Sia come sia, è proprio ai Romani che si deve la diffusione della vite in quasi tutti i territori dell’Impero, ossia dove arrivavano le Legioni, e a loro si deve far risalire l’origine del Vino in vaste aree della Francia e della Germania. Inoltre proprio ai Romani, grazie alle vaste fonti documentali che ci sono pervenute, possiamo far risalire le origini della moderna Enologia, ossia la scienza che studia la produzione del vino. Lucio Giunio Moderato Columella nel suo “De Re Rustica”, già citato a proposito delle origini dell’Ampelografia, ci tramanda una vasta trattazione in materia, a partire dalla viticoltura per arrivare a pratiche di cantina concettualmente valide anche ai nostri giorni. Quel che più ci interessa in quest’ambito è il fatto che all’epoca fossero già codificati gli elementi base per la scelta delle aree idonee alla coltivazione della vite e delle qualità di vite più o meno idonee alla coltivazione in determinate zone.


Il vino tra il medioevo e il rinascimento

La decadenza della civiltà Romana, culminata nel 500 d.C. con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente ci porta nel Medioevo. In questi anni bui non ci sono state o perlomeno non ci sono pervenute sostanziali prove di progressi tecnici dal punto di vista agronomico ed enologico, ma la coltivazione della vite e la produzione del vino si è tramandata soprattutto grazie al fatto che questo assieme al pane, rappresentava e non solo simbolicamente, uno dei principali alimenti per le popolazioni dell’epoca. Il suo impiego nei riti Cristiani e l’opera di riscrittura degli antichi trattati da parte dei monaci ha fatto si che i principi dell’enologia e della coltivazione della vite venissero tramandati fino al Rinascimento.

Con il passare degli anni la selezione naturale e la mano dell’uomo porta alla definizione dei territori maggiormente vocati per la viticoltura e all’abbinamento tra zone e vitigni che costituisce l’oggetto di questo trattato.

E’ del ‘500 la lettera che Sante Lancerio, storico e geografo e bottigliere di papa Paolo III scrive al cardinale Guido Ascanio Sforza e che può essere definita il primo testo della letteratura enologica italiana. Vengono identificati 53 vini di pregio che vengono anche descritti dal punto di vista organolettico e degli abbinamenti col cibo, usando un approccio ed un gergo sorprendentemente attuali. Vengono citati nella lettera, tra gli altri, il “Rosso di Terracina”, il “Greco d’Ischia”, la “Vernaccia di San Gemignano” il “Nobile di Montepulciano”.

Risale al 1710 il decreto di Cosimo III de’ Medici che definisce e stabilisce i confini delle zone di produzione del Chianti, di Carmignano, di Pomino e di Valdarno di Sopra, denominazioni che troviamo pari pari nell’enografia contemporanea.

La fillossera

Il 1800 segna la nascita dell’agricoltura industrializzata e porta notevoli progressi anche in campo enologico. Camillo Benso di Cavour entra tra i protagonisti del BaroloBettino Ricasoli crea la “ricetta” del Chianti stabilendo le giuste proporzioni dell’uvaggio utilizzando vitigni coltivati localmente, John Woodhouse crea il MarsalaBenedetto Carpano il Vermouth aromatizzando il vino con zucchero e piante aromatiche.

fine secolo appare la fillosserainsetto importato dalle Americhe assieme a barbatelle locali al fine di ricercare un rimedio contro l’Oidio, un parassita fungino anch’esso di importazione americana. Si era notato infatti che alcune specie autoctone di Vitis Lambrusca (vite selvatica o americana) d’oltreoceano erano risultate particolarmente resistenti al parassita, in quanto laggiù non erano ancora diffusi i trattamenti a base di zolfo.  Assieme alle barbatelle venne quindi importato anche questo insetto che, cibandosi delle radici e non avendo antagonisti naturali in Europa, ben presto divenne un flagello quasi incontenibile che portò alla distruzione di più di un quarto del patrimonio viticolo europeo. La soluzione fu l’utilizzo della immunità radicale sviluppata da alcune specie americane, innestando la varietà europea su di un “piede” resistente all’insetto.

L’enologia moderna

All’inizio del ‘900 il panorama ampelografico Europeo, e quindi anche Italiano, subì un’evoluzione brutale. In pochi anni vennero selezionati i vitigni che più si prestavano alla coltivazione nelle varie zone e vennero create le relative barbatelle su piede americano, enormi superfici vitate vennero reimpiantate e cambiarono volto. Specie autoctone minori scomparvero, alcune per sempre. Specie d’Oltralpe con caratteristiche di idoneità a determinati ambienti vennero importate e divennero parte integrante del territorio e delle tradizioni. Si entrò così nell’epoca della viticoltura moderna.

Nel 1986 uno scandalo tutto italiano segnò un altro punto di svolta per la nostra enologia. L’utilizzo del metanolo per alzare la gradazione alcolica di vini di bassa qualità da parte di alcuni scellerati e le conseguenti decine di morti e cecità permanenti ad esso riconducibili, segnò un danno d’immagine per la produzione Italiana con conseguenze che all’inizio sembrarono irreparabili. In realtà questo era solo il segnale che il momento era arrivato per introdurre anche in Italia quelle norme ma soprattutto quell’amore per l’eccellenza in contrapposizione al volume produttivo che ancora separava, con poche eccezioni, la produzione Italiana da quella d’oltralpe.

Prima i vini Italiani più conosciuti el mondo erano il Lambrusco, il Frascati, la Valpolicella e il Chianti nei tipici fiaschi. Poi arrivarono Angelo Gaja con il suo Barbaresco, il Marchese Mario Incisa della Rocchetta con il Sassicaia, gli Antinori con il loro Tignanello. Eravamo entrati nell’epoca dei “Supertuscan” dello yuppismo e dell’ostentazione. Ma la svolta qualitativa era segnata. Al seguito di questi visionari precursori migliaia di produttori locali di dimensioni grandi e piccole, anche piccolissime, capirono che l’eccellenza è la chiave del successo.

Si è così arrivati, grazie anche a Veronelli, il cui lavoro aveva origini ben precedenti ma il cui culmine coincide con la creazione della sua casa editrice, proprio nel 1986, all’epoca delle Guide Vini, alla conoscenza diffusa, ai corsi per Sommelier, e alla fine, ad Internet.

Oggi sono soprattutto i piccoli produttori, molti dei quali potrebbero essere definiti come “garage winemakers”, a portare avanti la bandiera del territorio. Perché il vino è sicuramente enologia, ma soprattutto è il prodotto della vite, e le differenti specie con il loro radicamento nel territorio (i vitigni, per l’appunto) permettono poi di definire, tramite le denominazioni ed i disciplinari, il panorama enologico nazionale.

Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano 2024

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