sabato 31 ottobre 2020

Il Tartufo Bianco di San Miniato


Il Tartufo Bianco, scientificamente noto con il nome di “Tuber Magnatum”, è un fungo ipogeo, ossia che cresce spontaneamente sotto terra.
Esso si presenta in diverse forme, da globosa a piatta, ma le numerose depressioni sulla parete esterna (peridio), tendono a fargli assumere un aspetto piuttosto irregolare, al tocco si presenta liscio e vellutato, con colori che variano dal crema al giallo ocra, mentre la superficie
 interna (gleba), è chiara con venature marroni.
Inconfondibile è il suo intenso profumo, che ci riporta al naso quella sensazione di idrocarburo come il gas, in un mix che varia dal miele al pungente aroma dell’aglio fino a riportarci olfattivamente al selvatico profumo di bosco umido come il fungo.
Il sapore è intenso ma equilibrato, bastano pochi grammi di tartufo per insaporire qualsiasi piatto, ci ricorda molto il formaggio stagionato, agliaceo e leggermente piccante, ma addolcito da sentori di miele.
La stagione del Tartufo Bianco pregiato cade tra settembre e gennaio, a seconda anche dalla regione di provenienza, come ad esempio: Piemonte, Toscana, Umbria, Marche e Molise.
Ogni specie di tartufo si sviluppa spontaneamente in simbiosi con alcuni tipi di piante, come: Carpino  bianco e nero, Cerro, Farnia, Nocciolo, Pioppo bianco/nero e carolina, Pioppo tremulo, Rovere, Roverella, Salice, Tiglio, che a loro volta sono inclini a crescere in determinate caratteristiche di ambiente e terreno, è un fungo molto esigente e molto difficile da trovare perchè più raro rispetto alle altre specie, per questo il suo prezzo può variare dai €1500 ai €4000 al Kg. a seconda delle annate.
Oltre all’esperienza del Tartufaio nel saper riconoscere i luoghi più vocati alla crescita di questo prodotto, con i loro segreti tramandati da generazioni, essenziale è l’aiuto di un cane molto bravo e finemente addestrato solamente a questo tipo di ricerca, le razze più utilizzate sono: Bracco, Pointer, Lagotto romagnolo, Spinone, Coker e Jack Russel, i maiali sono degli ottimi cercatori di tartufo, ma anche molto ghiotti e quindi non gestibili in quanto non resisterebbero nel mangiarlo, mentre un cane addestrato obbedisce a tutti gli ordini imposti dal suo padrone, senza riuscire a sciupare il prodotto.
Per molto tempo il Tartufo Bianco poteva essere commercializzato solo con il nome di Tartufo Bianco di Alba o Acqualagna, ma con la legge n.752 (1985) si stabilì che il Tuber Magnatum Pico (tipico delle Colline Sanminiatesi), si commerciasse solo con il nome in latino con accanto la zona geografica di raccolta, così la Regione Toscana stabilì le seguenti zone di produzione per il Tartufo Toscano: delle Colline Sanminiatesi, delle Crete Senesi, del Casentino, del Mugello e della Val Tiberina.
Il Tartufo di San Miniato detiene due primati mondiali molto importanti: il Tartufo più grande mai rinvenuto, un tubero di 2.520 grammi che fu donato nel 1954 al Presidente statunitense Eisenhauer, ed il primato di qualità, dovuto alla fertilità dei boschi e anche all’accuratezza e al profondo rispetto per l’ambiente con cui viene fatta l’attività di raccolta, regolata da un severo disciplinare e da una precisa legge regionale che ne delimita la raccolta nei soli mesi di ottobre, novembre e dicembre.
Ogni anno nel mese di novembre per tre fine settimana consecutivi nel centro storico di San Miniato, viene svolta una delle Mostre Mercato del Tartufo Bianco più famose al Mondo, purtroppo quest’anno è stata annulla a causa dell’emergenza sanitaria del COVID 19, fra l’altro era l’anniversario della 50° edizione e sarebbe stata veramente una grandissima celebrazione per tutti i Sanminiatesi.
Uno dei difetti maggiori di questo prodotto è la veloce deperibilità, infatti deve essere consumato entro pochi giorni dalla raccolta e non può essere cotto, ma va aggiunto a crudo (grattato o tagliato a fette molto sottili), sopra l’alimento già pronto per essere mangiato.


Uno dei primi piatti più buoni dove poter degustare il Tartufo è il tagliolino al burro, un piatto molto semplice da preparare e molto gustoso, basta far amalgamare bene il burro con un po’ di parmigiano reggiano e del Tartufo grattato, per insaporire la crema che si viene a formare con la pasta e per ultimo aggiungere sopra il Tartufo tagliato a fette, un connubio di sapori veramente unico.



Per gli amanti della carne cruda, consiglio di degustarlo sopra un Carpaccio di manzo condito con olio extravergine di oliva e formaggio parmigiano tagliato a fette, o in alternativa una Tartare sempre di manzo, magari condita con una fonduta di parmigiano reggiano.


Ma uno dei piatti secondo me più semplici e gustosi dove poter degustare a pieno il Tartufo, è l’uovo fritto al tegamino, qui i sapori si amalgamano alla perfezione in un connubio veramente unico, molti Chef mettono l’uovo a crudo sulla Tartare di manzo insieme al Tartufo, ma secondo me troppi sapori mischiati insieme poi vanno a nascondere la delicatezza e l’aromaticità di questo magnifico prodotto.
Chi più ne ha più ne metta, “dice un’antico proverbio”, in questo caso cade proprio a pennello, un consiglio che vi voglio dare è di diffidare da chi vuole vendervi dei prodotti come l’olio al Tartufo, dovete sapere che le molecole del Tartufo non legano con le molecole vegetali, ma solo con le molecole animali, quindi potete tenere anche un Tartufo immerso in un recipiente di olio per tutto il tempo che volete, senza che l’olio prenda l’aroma del Tartufo, purtroppo esistono in commercio questi prodotti, tutti fasulli e creati artificialmente con sostanze chimiche aggiunte per aromatizzarli.
Qui la scelta del vino non è molto semplice, io consiglio vivamente un vino bianco non molto aromatico e con bassa acidità, per non coprire la delicatezza del piatto, come un Verdicchio dei Castelli di Jesi o un Passerina entrambi provenienti dalle Marche, vini molto delicati e dal giusto equilibrio tra acidità e aromaticità, altrimenti se siete amanti del vino rosso e su i piatti di carne non ne potete fare a meno, vi consiglio un Pinot Noir del Trentino, che grazie ad i suoi tannini vellutati va ad esaltare tutti gli aromi del piatto.


(Le fonti del Post sono tratte da: tartufo.org, Wekipedia e sanminiatopromozione.it)

venerdì 23 ottobre 2020

Il Vino Umbro Vivo


La natura va osservata, va ascoltata, compresa, non dominata.


Questa è la filosofia dell’Azienda in questione: “Antica Azienda Agricola Paolo Bea”, un luogo dove antiche tradizioni e futuro, convivono in simbiosi per la creazione di vini “Vivi”, dove si rispetta pienamente la produzione di prodotti biologici, senza l’uso della chimica di sintesi e di stabilizzazioni forzate ad accelerare la prontezza di beva, rispettando i processi naturali della vigna e del vino.
Situata nel cuore delle campagne di Montefalco in Umbria, l’Azienda si contraddistingue per una architettura quasi futuristica, dove ogni elemento e progetto stilistico è direttamente collegato alla funzionalità e necessità del vino stesso, creando prodotti unici per le loro caratteristiche organolettiche e per la loro continua evoluzione anche post vendita all’interno della bottiglia.
Ho avuto il piacere di visitare questo luogo nel 2014 durante una delle nostre Bacco Reunion con l’Associazione Culturale di cui sono socio fondatore, devo veramente dire che è stata una esperienza esaltante vedere la passione e la cura di ogni elemento nel rispetto della tradizione vinicola, proiettata in un futuro ecosostenibile, dando vita non solo ad un prodotto finale eccezionale, ma anche alla forza di tramandare esperienza ed innovazione di padre in figlio, nel creare vini meravigliosi come il Rosso di Montefalco ed il Sagrantino.
Tutti quanti conosciamo la bellezza dell’Umbria e le sue antiche e buonissime tradizioni enogastronomiche, già in un post precedente (Il Super Tannico), ho accuratamente descritto queso luogo meraviglioso, citando un’altra favolosa Azienda che ho visitato in Montefalco, una regione fantastica ricca di città meravigliose e paesaggi unici al Mondo sicuramente da visitare più di una volta.


Il Vino che ho scelto per l’abbinamento musicale si chiama “Sanvalentino” Igt Rosso Umbria, un blend tra Sangiovese e Montepulciano d’Abruzzo, vendemmia del 2007 bevuto in questi giorni dopo un lungo periodo di affinamento in bottiglia, un vino incredibile con piccoli residui organici in quanto Vivo, che si è evoluto nel tempo donando profumi e sapori veramente intensi, vera musica per il palato.
Il brano musicale che ho scelto in abbinamento al vino è un classico della musica Jazz, “Summertime” di George Gershwin, in una magnifica interpretazione di Janis Joplin (Live1969), un brano che ancora oggi è simbolo di un grande cambiamento stilistico ed interpretativo, vivendo di vita propria come il vino in questione.
Nell’introduzione troviamo una tromba ed un sassofono soprano che evocano melodie ancestrali, esaltando al massimo l’unione di questi due nobili vitigni, chitarra, basso e batteria si susseguono in un triangolo ritmico pungente a sottolineare la grande rotondità del corpo del vino, la voce graffiante e quasi al limite dell’estensione vocale della cantante, esalta tannicità ed acidità in un susseguirsi di stacchi strumentali e vocali improvvisati, dando vita ad un’enfasi quasi magica di profumi e sapori fruttati, mai scontati ed in continuo cambiamento all’interno della nostra bocca, il finale in un breve rallentando, si conclude in un cambio di tonalità maggiore nell’ultimo accordo, donando ampiezza e persistenza.
Questo è un abbinamento veramente unico, da fare in un momento di riflessione, magari sorseggiando lentamente davanti ad uno skyline mozzafiato come un paesaggio Umbro.

 

martedì 13 ottobre 2020

Il Vino in Anfora


Il VINO IN ANFORA: lE ORIGINI, I QVEVRI GEORGIANI PATRIMONIO UNESCO

In Georgia i produttori hanno conservato nei secoli i metodi e le tecniche di produzione antiche In origine, non c’era vino senza anfora: nei recipienti in terracotta, chiamati qvevri, i vini nascevano, si affinavano, venivano trasportati da una sponda all’altra del mare. Una storia che risale  all’età della Magna Grecia, quando l’uomo utilizzava la terracotta per la conservazione del vino. Le anfore arrivarono con i Greci e furono gli etruschi a diffonderle in Italia. Perché? Semplice, vino e terracotta era il connubio perfetto, il metodo naturale più facile da adottare; la straordinaria capacità di isolamento termico della terracotta permetteva una perfetta conservazione del vino grazie alle caratteristiche chimico-fisiche del materiale. 

LA RINASCITA DEL VINO IN ANFORA 

Per mantenere viva questa tradizione ed evitare che l’artigianato a essa collegato scomparisse, l’UNESCO ha inserito la produzione dei vini georgiani in qvevri nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. I qvevri vengono interrati fino alla primavera successiva per consentire prima la fermentazione e poi l’affinamento dei vini, sia bianchi sia rossi. A seconda delle tradizioni locali le tecniche possono variare. Tipica dell’area di Khakheti, nella Georgia orientale, è poi la pratica di fermentazione e affinamento con macerazione sulle bucce. Una tradizione secolare per garantire un trattamento assolutamente naturale, che esalti le caratteristiche varietali. 



IL VINO IN ANFORA IN ITALIA

Oggi si è voluto riprendere quella che è stata una delle più antiche tecniche di conservazione del vino nella storia dell’uomo per ridare vita ad un nuovo armonico equilibrio tra vino e natura.

Nel mondo enoico è ormai da una decina di anni che molti produttori hanno deciso di tornare all’utilizzo di questo metodo di vinificazione ancestrale, anche se c’è chi non ha mai smesso, come il produttore di vino in anfora per antonomasia, Josko Gravner: in Italia è stato il primo a sperimentare le tecniche di vinificazione imparate in Georgia, e dall’anno 2000 ha sostituito tutti i contenitori della sua cantina con dei qvevri georgiani. Il resto è poesia e dovrete indubbiamente andare a fargli visita su quella sottile linea di confine tra Italia e Slovenia. 

LA TERRACOTTA E IL VINO” IN ITALIA: IMPRUNETA

Ogni anno ormai, a Impruneta, paesello toscano nella provincia di Firenze nonché cuore della produzione di anfore, viene organizzato l’evento dedicato La Terracotta e il Vino”.  

Aziende della Georgia, uno dei paesi dove più è diffusa la pratica della vinificazione in anfore, le francesi di Borgogna, Champagne, Valle della Loira e Provenza, dall’Armenia con i suoi vini provenienti da vigneti di duecento anni e posti a 1500 metri di altezza sul livello del mare, dal Montenegro, ma anche dalla California, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, e ovviamente dallo stivale tricolore, si danno appuntamento per fare il punto su questo stile di produzione che ormai è diventato diffusissimo in Italia.

Sin dalla prima edizione un banco d’assaggio è stato occupato dal produttore Francesco Cirelli, giovane vignaiolo abruzzese che dal 2003 realizza i suoi vini sulle colline teramane, nella Riserva dei Calanchi di Atri. Ed è a lui che abbiamo chiesto qualcosa in più sugli speciali vini in anfora. 

FRANCESCO CIRELLI, L’ITALIANO DELL’ANFORA

Ventidue ettari di genuinità di cui 6.5 vitati e il resto dedicati a fichi, ulivi, grani antichi, farro, ceci, aglio, luppolo e allevamento delle oche per prosciutti e salumi. Canonica produzione abruzzese con Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo, ma su due linee: la base che vede l’utilizzo di cemento e acciaio, e l’anfora che utilizza le 22 giare di Artenova per fermentazione e affinamento, e che regala appena 25.000 bottiglie annue (con una capacità di 30.000). Un Montepulciano molto bevibile e carico di freschezza, netto al naso con i classici profumi rossi e intensi dell’autoctono abruzzese ma con profumi più terrosi e piacevolmente rustici donati dall’anfora.

COME SI FA IL VINO IN ANFORA E QUALI SONO I SUOI VANTAGGI?




“Il vino in Anfora si fa come tutti gli altri vini, non ci sono grandi differenze se non una maggiore lavorazione, un maggiore intervento dell’uomo, una maggiore attenzione da un punto di vista igienico-sanitario. La terracotta funziona come se fosse un contenitore in legno ma il suo pregio è di non cedere alcun sapore. Quindi, in un certo senso, è un contenitore minimale in grado di rispettare maggiormente la purezza del vitigno scelto”, spiega Cirelli.

Una pratica sempre più diffusa Come mai oggi il vino in anfora è tornato a essere tanto diffuso? “Posso dirvi perchè ci sono tornato io – risponde Cirelli –  è successo perché ero alla ricerca di un metodo di lavorazione che riuscisse a dare un’impronta unica, autentica e fortemente identitaria ai miei vini. Con le anfore riesco a esaltare le uve che coltivo e a imbottigliare l’essenza più vera della mia terra. Chi le usa seriamente lo fa per questo, per glorificare le uve scelte e per rispettare al massimo l’identità dei propri vini”, conclude il produttore.


QUALI PRODUTTORI SONO GLI ALTRI PRODUTTORI ITALIANI DI VINO IN ANFORA?

Dopo avere citato il grande Josko Gravner e il valente Francesco Cirelli, difficile è scegliere altri produttori degni di visita (e assaggio), anche perchè oggi sono davvero numerosi. Di certo vale la pena conoscere realtà come Cacciagalli nell’alto salernitano in Campania, la mitica Azienda Agricola Foradori in Trentino Alto Adige, Michele Biancardi in Puglia, nella provincia di Foggia, Cristiano Guttarolo sempre in Puglia ma in provincia di Bari, la famiglia Casadei che lavora in Toscana (Maremma e Chianti) ma anche in Sardegna, Capitoni Marco Azienda Agraria in Toscana a Pienza, il Castello dei Rampolla sempre in Chianti, l’Azienda Agricola Montesecondo ancora nella storica zona del Chianti Classico.  



     (Articolo tratto da: Il Giornale del Cibo, scritto da Giovanni Angelucci il 03/10/2019)

lunedì 5 ottobre 2020

Le Buchette del Vino

 


Buchetta del vino in via del Sole, con una targa che ricorda gli orari di vendita

Firenze come in molte altre città della Toscana, sulle mura di parecchi palazzi del centro storico esistono alcune curiose aperture di piccole dimensioni usate per la vendita del vino direttamente in strada e chiamate le buchette del vino.

L'usanza di vendere vino direttamente dai palazzi nobiliari risale più o meno al XVI secolo quando gli stravolgimenti nei mercati europei portarono a una ridefinizione dei commerci internazionali e delle attività manifatturiere, che portò a un inesorabile declino di quelle attività che avevano reso Firenze ricca e potente durante il medioevo e il Rinascimento. In quel periodo le grandi famiglie aristocratiche iniziarono a convertire le proprie attività in terreni agricoli e latifondi, dalla rendita più stabile, dove venivano prodotti vari beni, tra i quali un posto preminente era legato proprio alla produzione vinicola.

Le buchette permettevano di vendere con discrezione il vino al minuto direttamente in strada, evitavano di ricorrere all'intermediazione degli osti e dovevano avere una clientela molto vasta, come dimostra la loro diffusione.

Altra utilizzazione di queste "buchette" riservata esclusivamente ai palazzi nobiliari, era quella di beneficenza. Infatti, si usava lasciare nel piccolo vano che, considerata la sua ridotta altezza da terra garantiva l'anonimato, cibo o una brocca di vino appunto per i più bisognosi. 

Dal punto di vista architettonico le buchette aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. Le aperture permettevano appena il passaggio di un fiasco e presentano quasi sempre una forma a porticina con un archetto superiore, spesso decorato da una cornice con punta a goccia, chiuso da una porticina in legno. Le eleganti cornici di pietra liscia o bugnata che gli conferivano un sobrio aspetto tanto da essere detti in antico "tabernacoli del vino".

Alcune buchette sono oggi murate, mentre altre riportano ancora lapidi che informano i clienti sugli orari di vendita stagionali. Le meglio conservate si trovano in via del Giglio e in via del Sole.


Nel corso del '600 le Buchette del Vino furono utilizzate a Firenze per acquistare vino durante l'epidemia della peste, che tra il 1629 e il 1633 mise in ginocchio l'Italia e l'Europa. I vinai della città, per evitare il contagio, vendevano il vino attraverso piccoli portelli scavati nei muri di cemento di cantine e negozi.

Come sono le buchette? Le piccole finestrelle del vino aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. 

Durante il lockdown alcuni esercenti fiorentini hanno ripreso questa antica e utile tradizione mettendo in funzione le antiche buchette del vino. I primi a riaprire le piccole finestrelle sono stati: la gelateria Vivoli in pieno centro a Firenze, Babae in via Santo Spirito, Osteria delle Brache in piazza Peruzzi, Il Latini in via dei Palchetti.

Ci sono più di 150 Buchette di Vino a Firenze e altre sparse in tutta Toscana e c'è un sito che le segnala tutte e ne racconta la storia si chiama Buchette del Vino e vi mostra l'elenco di tutte le finestrelle sparse per la Toscana. 


Una bellissima storia che ha ripreso vita attraverso un momento della nostra storia molto triste e difficile, un segno distintivo ed unico che arricchisce ulteriormente la cultura e la bellissima storia della nostra Toscana, riportando in vita antiche tradizioni di grandissima importanza storica.


(Le fonti dell’articolo provengono da Wikipedia e Zingarate.com)


 

Anteprima del Vino Nobile di Montepulciano 2024

  Abbiamo visitato, degustato e goduto di questa meravigliosa città in un viaggio nel 2018 con la nostra Associazione Culturale "Bacco ...