Un nuovo punto di incontro dove scambiare opinioni e consigli in un mondo infinito e fantastico come la Musica ed il Vino, un binomio perfetto dove possiamo provare degustazioni sensoriali complete, vista, olfatto, gusto, tatto ed udito interagiscono fra loro per farci provare nuove emozioni, in qualità di Musicista e Sommelier vi guiderò in questo nuovo mondo bellissimo, abbinando ad ogni Vino la propria Musica.
sabato 31 ottobre 2020
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venerdì 23 ottobre 2020
Il Vino Umbro Vivo
La natura va osservata, va ascoltata, compresa, non dominata.
martedì 13 ottobre 2020
Il Vino in Anfora
Il VINO IN ANFORA: lE ORIGINI, I QVEVRI GEORGIANI PATRIMONIO UNESCO
In Georgia i produttori hanno conservato nei secoli i metodi e le tecniche di produzione antiche In origine, non c’era vino senza anfora: nei recipienti in terracotta, chiamati qvevri, i vini nascevano, si affinavano, venivano trasportati da una sponda all’altra del mare. Una storia che risale all’età della Magna Grecia, quando l’uomo utilizzava la terracotta per la conservazione del vino. Le anfore arrivarono con i Greci e furono gli etruschi a diffonderle in Italia. Perché? Semplice, vino e terracotta era il connubio perfetto, il metodo naturale più facile da adottare; la straordinaria capacità di isolamento termico della terracotta permetteva una perfetta conservazione del vino grazie alle caratteristiche chimico-fisiche del materiale.
LA RINASCITA DEL VINO IN ANFORA
Per mantenere viva questa tradizione ed evitare che l’artigianato a essa collegato scomparisse, l’UNESCO ha inserito la produzione dei vini georgiani in qvevri nella lista dei patrimoni culturali intangibili dell’umanità. I qvevri vengono interrati fino alla primavera successiva per consentire prima la fermentazione e poi l’affinamento dei vini, sia bianchi sia rossi. A seconda delle tradizioni locali le tecniche possono variare. Tipica dell’area di Khakheti, nella Georgia orientale, è poi la pratica di fermentazione e affinamento con macerazione sulle bucce. Una tradizione secolare per garantire un trattamento assolutamente naturale, che esalti le caratteristiche varietali.
Oggi si è voluto riprendere quella che è stata una delle più antiche tecniche di conservazione del vino nella storia dell’uomo per ridare vita ad un nuovo armonico equilibrio tra vino e natura.
Nel mondo enoico è ormai da una decina di anni che molti produttori hanno deciso di tornare all’utilizzo di questo metodo di vinificazione ancestrale, anche se c’è chi non ha mai smesso, come il produttore di vino in anfora per antonomasia, Josko Gravner: in Italia è stato il primo a sperimentare le tecniche di vinificazione imparate in Georgia, e dall’anno 2000 ha sostituito tutti i contenitori della sua cantina con dei qvevri georgiani. Il resto è poesia e dovrete indubbiamente andare a fargli visita su quella sottile linea di confine tra Italia e Slovenia.
“LA TERRACOTTA E IL VINO” IN ITALIA: IMPRUNETA
Ogni anno ormai, a Impruneta, paesello toscano nella provincia di Firenze nonché cuore della produzione di anfore, viene organizzato l’evento dedicato “La Terracotta e il Vino”.
Aziende della Georgia, uno dei paesi dove più è diffusa la pratica della vinificazione in anfore, le francesi di Borgogna, Champagne, Valle della Loira e Provenza, dall’Armenia con i suoi vini provenienti da vigneti di duecento anni e posti a 1500 metri di altezza sul livello del mare, dal Montenegro, ma anche dalla California, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, e ovviamente dallo stivale tricolore, si danno appuntamento per fare il punto su questo stile di produzione che ormai è diventato diffusissimo in Italia.
Sin dalla prima edizione un banco d’assaggio è stato occupato dal produttore Francesco Cirelli, giovane vignaiolo abruzzese che dal 2003 realizza i suoi vini sulle colline teramane, nella Riserva dei Calanchi di Atri. Ed è a lui che abbiamo chiesto qualcosa in più sugli speciali vini in anfora.
FRANCESCO CIRELLI, L’ITALIANO DELL’ANFORA
Ventidue ettari di genuinità di cui 6.5 vitati e il resto dedicati a fichi, ulivi, grani antichi, farro, ceci, aglio, luppolo e allevamento delle oche per prosciutti e salumi. Canonica produzione abruzzese con Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo, ma su due linee: la base che vede l’utilizzo di cemento e acciaio, e l’anfora che utilizza le 22 giare di Artenova per fermentazione e affinamento, e che regala appena 25.000 bottiglie annue (con una capacità di 30.000). Un Montepulciano molto bevibile e carico di freschezza, netto al naso con i classici profumi rossi e intensi dell’autoctono abruzzese ma con profumi più terrosi e piacevolmente rustici donati dall’anfora.
COME SI FA IL VINO IN ANFORA E QUALI SONO I SUOI VANTAGGI?
“Il vino in Anfora si fa come tutti gli altri vini, non ci sono grandi differenze se non una maggiore lavorazione, un maggiore intervento dell’uomo, una maggiore attenzione da un punto di vista igienico-sanitario. La terracotta funziona come se fosse un contenitore in legno ma il suo pregio è di non cedere alcun sapore. Quindi, in un certo senso, è un contenitore minimale in grado di rispettare maggiormente la purezza del vitigno scelto”, spiega Cirelli.
Una pratica sempre più diffusa Come mai oggi il vino in anfora è tornato a essere tanto diffuso? “Posso dirvi perchè ci sono tornato io – risponde Cirelli – è successo perché ero alla ricerca di un metodo di lavorazione che riuscisse a dare un’impronta unica, autentica e fortemente identitaria ai miei vini. Con le anfore riesco a esaltare le uve che coltivo e a imbottigliare l’essenza più vera della mia terra. Chi le usa seriamente lo fa per questo, per glorificare le uve scelte e per rispettare al massimo l’identità dei propri vini”, conclude il produttore.
QUALI PRODUTTORI SONO GLI ALTRI PRODUTTORI ITALIANI DI VINO IN ANFORA?
Dopo avere citato il grande Josko Gravner e il valente Francesco Cirelli, difficile è scegliere altri produttori degni di visita (e assaggio), anche perchè oggi sono davvero numerosi. Di certo vale la pena conoscere realtà come Cacciagalli nell’alto salernitano in Campania, la mitica Azienda Agricola Foradori in Trentino Alto Adige, Michele Biancardi in Puglia, nella provincia di Foggia, Cristiano Guttarolo sempre in Puglia ma in provincia di Bari, la famiglia Casadei che lavora in Toscana (Maremma e Chianti) ma anche in Sardegna, Capitoni Marco Azienda Agraria in Toscana a Pienza, il Castello dei Rampolla sempre in Chianti, l’Azienda Agricola Montesecondo ancora nella storica zona del Chianti Classico.
(Articolo tratto da: Il Giornale del Cibo, scritto da Giovanni Angelucci il 03/10/2019)
lunedì 5 ottobre 2020
Le Buchette del Vino
A Firenze come in molte altre città della Toscana, sulle mura di parecchi palazzi del centro storico esistono alcune curiose aperture di piccole dimensioni usate per la vendita del vino direttamente in strada e chiamate le buchette del vino.
L'usanza di vendere vino direttamente dai palazzi nobiliari risale più o meno al XVI secolo quando gli stravolgimenti nei mercati europei portarono a una ridefinizione dei commerci internazionali e delle attività manifatturiere, che portò a un inesorabile declino di quelle attività che avevano reso Firenze ricca e potente durante il medioevo e il Rinascimento. In quel periodo le grandi famiglie aristocratiche iniziarono a convertire le proprie attività in terreni agricoli e latifondi, dalla rendita più stabile, dove venivano prodotti vari beni, tra i quali un posto preminente era legato proprio alla produzione vinicola.
Le buchette permettevano di vendere con discrezione il vino al minuto direttamente in strada, evitavano di ricorrere all'intermediazione degli osti e dovevano avere una clientela molto vasta, come dimostra la loro diffusione.
Altra utilizzazione di queste "buchette" riservata esclusivamente ai palazzi nobiliari, era quella di beneficenza. Infatti, si usava lasciare nel piccolo vano che, considerata la sua ridotta altezza da terra garantiva l'anonimato, cibo o una brocca di vino appunto per i più bisognosi.
Dal punto di vista architettonico le buchette aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. Le aperture permettevano appena il passaggio di un fiasco e presentano quasi sempre una forma a porticina con un archetto superiore, spesso decorato da una cornice con punta a goccia, chiuso da una porticina in legno. Le eleganti cornici di pietra liscia o bugnata che gli conferivano un sobrio aspetto tanto da essere detti in antico "tabernacoli del vino".
Alcune buchette sono oggi murate, mentre altre riportano ancora lapidi che informano i clienti sugli orari di vendita stagionali. Le meglio conservate si trovano in via del Giglio e in via del Sole.
Nel corso del '600 le Buchette del Vino furono utilizzate a Firenze per acquistare vino durante l'epidemia della peste, che tra il 1629 e il 1633 mise in ginocchio l'Italia e l'Europa. I vinai della città, per evitare il contagio, vendevano il vino attraverso piccoli portelli scavati nei muri di cemento di cantine e negozi.
Come sono le buchette? Le piccole finestrelle del vino aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno.
Durante il lockdown alcuni esercenti fiorentini hanno ripreso questa antica e utile tradizione mettendo in funzione le antiche buchette del vino. I primi a riaprire le piccole finestrelle sono stati: la gelateria Vivoli in pieno centro a Firenze, Babae in via Santo Spirito, Osteria delle Brache in piazza Peruzzi, Il Latini in via dei Palchetti.
Ci sono più di 150 Buchette di Vino a Firenze e altre sparse in tutta Toscana e c'è un sito che le segnala tutte e ne racconta la storia si chiama Buchette del Vino e vi mostra l'elenco di tutte le finestrelle sparse per la Toscana.
(Le fonti dell’articolo provengono da Wikipedia e Zingarate.com)
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